L o  S c o g l i o  d i  R o v i g l i a n o

Pagina tratta dal sito www.liberoricercatore.it , uno dei siti più belli e appassionati
che raccontano la Città di Castellammare di Stabia e che noi consigliamo vivamente di visitare.

Un po’ di Storia . . .

A circa cinquecento metri dalla foce del fiume Sarno e ben visibile dalla costa, sorge l’isolotto di Rovigliano. Si suppone che su di esso, in tempi remoti risalenti ad epoca romana,  fu costruito un tempio in onore di Ercole suo fondatore. Testimonianze in merito, le troviamo in uno scritto dello storico Gaio Plinio Secondo (Como 23 - Stabia 79) detto “Plinio il Vecchio”,  che nel libro XXXII ,8, dell’opera  Historia Naturalis, riporta:“…in Stabiano Campaniae ad Herculis petram melanuri in mari panem abiectum rapiunt, iidem ad nullum cibum, in quo hamus sit, accedunt”. (allo Scoglio di Ercole i melanuri, oggi “pesci tordo”, mangiano il pane gettato in mare, ma, non  si accostano  a nessun cibo  infisso sull’amo).

L’unica prova tangibile che possa avvalorare la suddetta tesi è la traccia di antichi trascorsi di epoca romana,  lasciata dal residuo di “opus reticulatum” (l’opera reticolata caratterizzata da una muratura con trama a forma di rete, è formata da blocchetti di tufo a base quadrata, che  trovò impiego  dal I sec. a.C.  al  II sec. d.C.), visibile ancor  oggi  sulla parete  sud  della  torre.


Altro elemento da molti preso in considerazione,
  è la testimonianza del Corcia,  il quale afferma che durante lo scavo delle fondamenta della ancor esistente torre, fu ritrovata una  statua  in  bronzo  raffigurante  Ercole,  di  cui  ben  presto  non  si  ebbe  più  notizia.
 

Lo Scoglio di Ercole, isolotto incantevole del golfo partenopeo, situato strategicamente in posizione perfetta, nel corso    dei secoli è stato adibito a  diversi usi, con conseguenti  modifiche   strutturali.


L’origine della moderna denominazione “Isolotto di Rovigliano”, secondo gli storici (ipotesi tramandata tacitamente da diverse generazioni), deriva dalla trasformazione nei secoli dell’antico termine “insulae Ruviliane”, nome dovuto alla “gens Rubilia” (famiglia romana dei Robilii) o ad un antico console Rubelio, ai quali attribuiscono l’antica proprietà  dello  Scoglio.
Personalmente non concordo la suddetta teoria, perché è del tutto priva di riscontro documentato. Per questo motivo, ho ritenuto opportuno ricercare le radici storiche in modo  più  diretto,   semplicemente  studiando  le  origini  del  termine  Rovigliano. L’approfondimento di questi studi, mi ha portato al termine latino “robilia” (costruito su rubus, rovo, come ervilia su ervum, ervo) che indicava genericamente le piante erbacee fornite di baccello (leguminose); questo termine, che si è evoluto nell’italiano robiglia (anche rubiglia), attualmente indica la cicèrchia, cioè, quella pianta annua mediterranea, appartenente alla famiglia delle papilionacee,  che spontaneamente  può  riprodursi  anche  in  ambienti  secchi e rocciosi.  Considerando infine,  le modeste coltivazioni di cicèrchie, ancor oggi esistenti nelle vicinanze di Castellammare (nei pressi della località S. Agata),  e la presenza sullo Scoglio di piante della stessa famiglia,  personalmente, sono portato a ridimensionare le nobili  origini del  termine  Rovigliano,  fortemente  volute  dagli  storici.

Nelle “Rievocazioni e Rivendicazioni Storiche” pubblicate nel 1937 il De Rosa asserisce che nel VI secolo,  l’Isolotto andò in proprietà a Ernesto Longobardi, appartenente a nobilissima e ricca famiglia stabiese, il quale vi costruì una piccola casa, dove si recava per pescare accompagnato dalla figlia di nome Generosa, la quale, fervente religiosa, vi fece costruire una chiesetta,  che fu  benedetta  da  S. Catello,  vescovo del tempo ed attuale protettore e patrono di Castellammare. Trascorsi alcuni anni la piccola costruzione fu ingrandita e trasformata in Monastero che fu posto sotto la protezione di  S. Michele e di Santa Barbara, Vergine e Martire. Un documento sorrentino dell’anno 938, conferma l’esistenza del Monastero: vedi “Regii Archivi Monumenta” che  nell’Instrumentum XXX,  anno  938,  p. 106,  enumera  vari  beni  offerti  a  Joanni  ven.  Abba Presbitero Monasteri insulae Ruviliane. Nel corso dei secoli,  sull’isolotto si succedettero diversi ordini monastici. Il documento più  recente, testimonianza  dell’attività  religiosa,  risale al  16 ottobre 1407 (Abbas  Monasterii  S. Arcangeli  de  Insula  Rubiliani  Diocesis  Castrimaris. . .), indicante  l’appartenenza  del   Monastero   alla   Diocesi   di   Castellammare. 
 

In seguito all’abbandono dell’Isolotto da parte dei  monaci, le Autorità  militari per difendere il litorale stabiese dalle  incursioni  Saracene e Barbaresche, edificarono nel 1564  una torre di avvistamento provvista di artiglieria, custodita da soldati invalidi. In tempi più recenti, durante l'occupazione francese il torrione fu necessariamente adibito a prigione su ordine   del   Comandante   Manthonè.


Nel 1861 in seguito all’unificazione,  l’isola passò al Demanio dello Stato che la vendette  poi ad  un privato, passata in possesso a numerosi altri proprietari,  fu infine venduta nel 1931  al signor Antonio Brigante di Torre Annunziata, che tentò di trasformarla in un centro turistico, dove v’impiantò perfino un albergo ed un ristorante, ma l’ambizioso   proprietario  non  riuscì  mai  nell’intento  ed  abbandonò,   rinunciando  alle  aspirazioni.
  

Una storia d’oggi . . .

Alcuni anni  fa,  quando  con  mio  cugino  Giuseppe  (al  quale  riconosco il merito di avermi “contagiato” nella passione alla Ricerca) eravamo intenti a ricostruire l’albero  genealogico  di  famiglia,  tra  i  tanti  studi  e  ricerche  da  effettuare,  mettemmo in   preventivo   anche    una   possibile   escursione   allo   Scoglio   di   Rovigliano. 

La  passione e  la  voglia  di  visitare  un  luogo  così  pregno  di   storia  era  notevole,  ma essendo al  momento sprovvisti  di  barca, ritenemmo opportuno accantonare e rinviare tale progetto. Non molto tempo dopo, si presentò l’occasione giusta, quando, l'amico Alfredo Alminni, amante del  mare e  proprietario  della  “Nannina”,  anch’egli  incuriosito  dal  fascino  dello  Scoglio,  si propose   per  accompagnarci.   Pochi  giorni  e  ci  ritrovammo  sulla  “Nannina” ancorata  alla  banchina di “Zi’ Catiello”, che con qualche preparativo del sapiente Alfredo, fu pronta. Quel sabato mattina di settembre, nonostante il cielo fosse nuvoloso, decidemmo comunque di partire nella speranza di una miglioria climatica. In rotta per Rovigliano, lasciammo alle spalle Castellammare e il suo splendido litorale ai  piedi  del  Faito; la  suggestiva cartolina, visione quotidiana dei pescatori stabiesi, ebbe su di me il suo benefico effetto,  infatti,  intento a guardare con attenzione lo scenario che si  offriva  ai  miei occhi,  dimenticai completamente  di  soffrire  il  mal di  mare.
 

Ormai giunti a meno di trenta metri dall’isolotto, saggiamente l’amico Alfredo da esperto marinaio locale, nel tratto di mare in cui si riversa il fiume Sarno, decise di issare in barca il motore e di proseguire a remi,  poiché,  il mare torbido antistante l’Isolotto,  cela  le  insidie  di  numerosi  spuntoni  di  roccia   che   affiorano a  pelo d’acqua.   Nonostante la cautela del vogatore,  però,  non  fu  possibile   evitare l’urto con delle rocce per nulla visibili.     Questa  difficoltà,  aggiunta  ad  una  leggera  risacca    non   ci   permise   di   approdare    su   quel   lato   dello  Scoglio,  per  cui  andammo  alla  ricerca  di  un  punto  di  sbarco  meno  difficoltoso.


Effettuato  così,  un  sopralluogo  completo,  raggiungemmo un’insenatura sul versante nord (lato che guarda verso il Vesuvio),  dal quale fu finalmente possibile mettere piede sull’Isola.  Mi era stato detto di fare attenzione, perché data la vicinanza alla foce del Sarno (da una recente statistica  il fiume più  inquinato  d’Europa),  con  tutta  probabilità l’Isolotto  poteva essere infestato da  topi.
 

Fummo  però  accolti,  da  un  gran  numero di gabbiani, attualmente i soli ed unici abitanti dello scoglio. Queste immobili ed attente sentinelle, diligentemente allineate in posizione guardinga, per qualche istante rievocarono alla mia  mente  i  trascorsi   bellicosi  del   luogo.  Sotto la costante ed attenta sorveglianza dei  diffidenti pennuti,  mettemmo  piede  sulla   celeberrima    “Herculis  petram”.

Legata la “Nannina” ad una salda roccia ed armati della sola fidata macchina fotografica, muovemmo i primi passi d’esplorazione. Le sorprese non tardarono a venire, infatti, in bella vista ad attenderci trovammo una rampa di circa venti gradini, interamente in piperno, dalla cui base, purtroppo, per chissà quale scopo, sono stati completamente espiantati i primi elementi di pedata, probabilmente portati via, poiché dei suddetti, non vi è rimasta minima traccia.  Lo scalone ancora praticabile, porta ad un pianale dal quale è  possibile  vedere la costa (lato fiume Sarno).


Di fronte allo scalone  ed ancora integro, c’è un cunicolo (largo non più di due metri, con pareti alte sormontate da un’ampia volta e pavimentato da bassi   gradini di comoda pedata), grazie al quale si accede  alla terrazza principale dell’Isolotto. L’apertura superiore del cunicolo, era quasi del tutto ostruita da una fitta vegetazione,  prova che da tempo non si facesse visita al vecchio Scoglio. Uscimmo da un varco che offriva uno spazio appena sufficiente al nostro passaggio. Non appena fuori, notai sul  suolo di calpestio delle sinistre macchie rosse, ma con gran sollievo mi resi conto che si trattava di pomodori marci, liquefatti dal sole (residuo spuntino di chissà quale gabbiano).

 

Abbandonati  i  pensieri  da  libro  giallo,  mi  ritrovai    dinanzi alla torre della fortezza, dalla caratteristica forma quadrangolare. Le quattro pareti che la compongono, sono in pietra calcarea, ma è ben evidente da quel che resta delle altre opere in muratura, che lo Scoglio sia   stato abitato in diverse epoche, poiché sono stati utilizzati differenti materiali da costruzione (roccia calcarea, tufo giallo, tufo grigio, mattoni rossi pieni grezzi), attualmente imprigionati nella struttura. Giuseppe richiamò la nostra attenzione, facendoci notare l’opus reticulatum, senza dubbio   l’opera  più  antica  del  sito  (vedi  cenni  storici).

Nei pressi dell’opus e precisamente all’interno di una nicchia alla base della torre, sono visibili ancor oggi i resti di un’edicola,  nella quale presumo,  un tempo vi poteva essere esposta  una  immagine  sacra   a   protezione  dell’Isolotto   (foto  a  sinistra).

Valutammo la possibilità di entrare nella fortezza, ma viste le precarie condizioni e la non lontana possibilità     di crollo della struttura, evitammo questo inutile rischio  limitandoci ad ammirarne la bellezza dall’esterno. Contemplammo in silenzio le antiche muraglie erose dal tempo, delle quali, a causa dei marosi e dell’incuria dell’uomo, si sta’ perdendo traccia. Dopo qualche ora, pienamente soddisfatti per l’escursione compiuta, decidemmo di far ritorno. Raggiunta la “Nannina”, lentamente ci allontanammo dall’insenatura  dello Scoglio, dal  quale  ritrassi  un  ultimo  scorcio  pittoresco