La
Torre di Punta Campanella
Punta della Campanella, con la
sua costa a picco sul mare, delimita a SE il Golfo di Napoli
all’estremità della Penisola Sorrentina e rappresenta uno
degli itinerari paesaggistici di maggiore interesse
naturale, storico ed archeologico del nostro Paese. Circa 3
miglia di mare, insidioso per l’incontro tra differenti
correnti, la separano dall’isola di Capri.
Si raggiunge dalla piazzetta di Termini (frazione di Massa
Lubrense), facilmente raggiungibile da Sorrento in autobus,
attraverso una stradina di campagna. Tra la montagna,
ricoperta dalla classica macchia mediterranea, e le
molteplici insenature, si arriva alla cala di Mitigliano; da
qui in poi, è un susseguirsi di olivi selvatici, mirto,
ginepro e rosmarino, tutti modellati dal vento. E’ possibile
incontrare il gabbiano reale, il falco pellegrino o il
gheppio.
Sul limite estremo della Punta, sorgevano il tempio di
Athena, la cui via di accesso è parzialmente conservata, e
il tempio di Minerva (da cui un successivo nome del
promontorio, detto “di Minerva”, appunto). Nello stesso
punto, venne fatta erigere da Roberto d’Angiò la Torre le
cui vestigia sono tutt’ora osservabili, testimonianza del
sistema difensivo costiero del 1500, quando inizia la
minaccia delle incursioni dei pirati saraceni che, per tre
secoli, costituiranno un continuo tormento per le
popolazioni rivierasche. Accanto, sono osservabili i ruderi
di una grande villa romana. Di fronte, a 3 miglia, è il faro
della villa Jovis di Capri.
Qui,
secondo la leggenda, Ulisse dopo aver lasciato Circe e prima
di entrare nello stretto tra Scilla e Cariddi, incontrò le
Sirene (da cui “Sirenusium” – Sorrento) ed eresse un tempio
ad Atena, protettrice dei naviganti (di qui il primitivo
nome di “Capo Ateneo”); un tempio candido e bellissimo,
secondo Norman Douglas (1868-1952) che, all’argomento, ha
dedicato un libro. Deluse per non essere riuscite a sedurre
Ulisse, le Sirene si gettarono in mare. Omero ci parla di
due Sirene: Telxiope e Aglaofone (”…..sul loro scoglio
bianco come neve cessarono il loro canto. Una gettò il
flauto, l’altra la lira, lanciarono un grido perché il
momento della loro morte era giunto e, dall’alto della rupe,
si gettarono negli abissi del mare ed i loro corpi si
mutarono in rocce…..”) e tre scogli corrispondenti alle
Sirenuse, oggi dette Li Galli (Gallo Lungo, Castelluccio e
la Rotonda). Licofrone, invece, ne nomina tre: Partenòpe,
Leucosìa e Lìgeia figlie di una musa (Calliope, Tersicore o
Melpomene?). Secondo una tradizione più antica, le Sirene
erano figlie di due divinità marine: Forco e Cheto. In
principio, erano rappresentate come fanciulle, poi si
aggiunsero le ali e anche il corpo di uccello, mantenendo
solo nel volto le sembianze umane. Ciò giustifica la loro
presenza in Campania, visto che quasi tutti sono concordi
nel fissare la loro origine in Grecia. Un'altra leggenda le
vuole vinte dal canto di Orfeo e non dalla resistenza di
Ulisse, mentre la conclusione della leggenda è concorde:
annegamento e trasformazione in scogli. I loro corpi vennero
trasportati dal mare sulle spiagge di Napoli (Partenope),
Posidonia (l'attuale Paestum), Leucosia (Punta Licosa), e
Terina (Ligeia). Non è chiaro se ci si riferisca a Terina in
Calabria, nei pressi di Sant'Eufemia, oppure al fatto che il
corpo della Sirena fosse stato spinto sulle rocce di Punta
della Campanella, anche detta “Ligera”.
Tra Sorrento e Punta della Campanella, la sera di
Sant'Antonino (14 Febbraio), è possibile ascoltare un
leggero rintocco di campane, proveniente dal fondo del mare
e legato ad una popolare leggenda.
La notte del 13 Giugno 1558, 100 tartane saracene al comando
di Pyaly Mustafà, inviate dal re di Francia ad invadere il
golfo di Napoli, misero a ferro e fiamme Massa Lubrense e
Sorrento. Proprio il giorno prima, 12 Giugno, la nobiltà
sorrentina aveva ottenuto il ritiro di 200 soldati spagnoli,
il cui mantenimento era stato reputato eccessivamente
dispendioso, inviati a difesa dal funzionario del viceré di
Napoli, Don Giovanni Manriquez De Lara.
Mentre Massa si era dimostrata facile preda, perché priva di
fortificazioni, Sorrento era protetta da una cinta di mura e
i pirati si sarebbero ritirati se non fossero stati favoriti
dal destino. Gli Aragona avevano affidato la difesa della
città all'antica e nobile famiglia Correale, che aveva
l'incarico di custodirne, coi suoi armati, le quattro porte.
Per disgrazia, una di queste quattro porte era stata
affidata ad un servo infedele, di nome Ferdinando. Onofrio
Correale, cognato di Bernardo Tasso padre di Cornelia,
convolata a nozze pochi giorni prima con Marzio Sersale, che
custodiva le chiavi della città, affidò a un domestico turco
(accolto per carità, come nella tradizione, nella famiglia
Correale) la chiave della porta marina per permettere,
all’alba, l’imbarco dei numerosi invitati. Il servo, invece,
aprì la porta ai pirati e fece loro da guida: i cittadini
furono massacrati, 2000 di essi vennero presi prigionieri,
le chiese e le case depredate e date alle fiamme.
I pirati pensarono di portare ad Algeri anche le campane
delle chiese: caricarono sulla tartana ammiraglia la campana
della chiesa di Sant'Antonino, dal suono melodioso e
dall’aspetto bellissimo e salparono.
Quando l'ammiraglia giunse all'altezza di Capo di Minerva
(già detto “di Atena” e oggi "Punta della Campanella"), si
fermò improvvisamente, come se si fosse arenata su un banco
di sabbia. Inutili furono tutti gli sforzi dei Saraceni: la
barca rifiutava di doppiare il capo. Per alleggerirla,
fu gettato in mare parte del bottino, ma senza successo.
Finalmente, Pyaly Mustafà diede ordine che venisse buttata
giù la campana e solo in tal modo la tartana riuscì a
raggiungere il resto della flotta.
Da quel giorno, tutti gli anni, per la festa di
Sant'Antonino, la gente si reca in pellegrinaggio a Sorrento
per udire la campana benedetta che squilla a festa sotto le
onde. Per un particolare fenomeno acustico e in circostanze
di vento favorevoli, è possibile udire i rintocchi di
campane di chiese delle zone circostanti, in modo talmente
chiaro che sembra provengano proprio dal fondo del mare,
come narra la leggenda.